Centro documentazione territoriale Maria Baccante

In ricordo di Don Pietro Pappagallo

Oggi è il 76° anniversario dell’arresto di Don Pietro Pappagallo.

Il 29 gennaio 1944 Don Pietro Pappagallo viene arrestato, condotto nel carcere di via Tasso e trucidato dalle SS il 24 marzo presso le Fosse Ardeatine.

Nel 1926 a Don Pietro Pappagallo, da poco giunto nella capitale dal suo paese di origine Terlizzi, in provincia di Bari, ancora in cerca di un ruolo pastorale e di un alloggio, viene affidato il compito di gestire il convitto della Viscosa di Roma destinato ai fuori sede. La fabbrica è attiva 24 ore su 24, dividendo gli orari lavorativi in tre turni da 8 ore. Don Pietro si accorge da subito che il dormitorio interno ospita la manovalanza più maltrattata. A questi operai toccano quasi esclusivamente gli orari notturni, l’orario di lavoro viene spesso prolungato con richiesta di straordinario, pena la perdita del posto di lavoro.

Oltre allo sfruttamento si aggiunge la discriminazione, di fatti Don Pietro verifica che la manodopera dei fuori sede non gode delle stesse tutele previdenziali e delle paghe orarie riconosciute a quella della capitale. Inoltre, l’inalazione di solfuro di carbonio, sostanza necessaria per la lavorazione della seta artificiale, respirata per tutto il giorno da questi operai, determina gravi problemi di salute.

Don Pietro Pappagallo rivolge le sue accuse ai padroni della Viscosa, convinto di trovarsi nel giusto e appellandosi alla Rerum Novarum, enciclica pubblicata il 15 maggio 1891 che contiene parole chiare contro lo sfruttamento dei lavoratori.

In risposta la dirigenza aziendale entra subito in azione, esercitando pressioni politiche presso la curia romana, la quale fa intervenire monsignore Ferdinando Baldelli, il più importante portavoce dell’Opera di assistenza ecclesiale ai lavoratori. Baldelli non ha alcuna intenzione di accogliere le proteste di Don Pietro, e rifiutandosi di ascoltarlo preferisce interloquire con il parroco attraverso una lettera.

Baldelli spiega al parroco di Terlizzi che il prete non è un sindacalista, né la Chiesa è pronta a riconoscere la figura del cappellano del lavoro; che le condizioni politiche generali non avvantaggiano i lavoratori, tanto che a migliaia sono costretti a emigrare all’estero; che la vastità del fenomeno migratorio e la sofferenza che questo comporta ritiene doveroso dedicarsi a questo ambito; che la politica aziendale della Viscosa è strettamente connessa all’orientamento autarchico perseguito dal regime; e che “la Chiesa italiana non approda ancora al riconoscimento concordatario, che è un obbiettivo da non compromettere con incidenti di percorso”.

La denuncia fatta da don Pietro Pappagallo, il quale pensava di esercitare semplicemente la funzione pastorale che gli era stata affidata, è, dunque, considerata dal monsignore Baldelli come inadeguata e pericolosa per le relazioni tra la Santa Sede e il regime Fascista, da anni alle prese per la conciliazione. Conciliazione che avverrà l’11 febbraio 1929 dopo quattro anni di “faticose trattative, che in vari momenti erano state sul punto di naufragare per gli scontri fra il regime e la Santa Sede sulle organizzazioni cattoliche”.

Le denunce che Don Pietro Pappagallo fece sulle gravi condizioni materiali degli operai della Viscosa, non trovarono ascolto da parte del monsignore Baldelli e dell’Opera di assistenza ecclesiale ai lavoratori, in quanto gli interessi in gioco riguardavano il rapporto tra lo Stato Pontificio e il neonato Regno d’Italia.

La risposta di Don Pietro Pappagallo, seguita alla lettera del monsignore Baldelli, è molto chiara:

Monsignore io mi riconosco negli operai del convitto. Muovono dalla mia stessa terra. Sono emigrati anche loro. Il fatto che non siano partiti all’estero, non ne rende meno penosa e difficile la condizione: la distanza che li separa dalla famiglia d’origine è notevole e sconvolge ugualmente la loro vita affettiva; la responsabilità nei confronti dei cari che attendono il loro sostegno, li angustia e li induce a ogni forma di privazione. Il lavoro in azienda è disumanizzante: i tempi vengono protratti all’inverosimile, il licenziamento scatta automaticamente in caso di rifiuto degli straordinari, il processo industriale che prevede l’applicazione di sostanze chimiche è potenzialmente nocivo per la loro salute, la discriminazione retributiva è evidente al raffronto fra gli operai del Sud e i loro colleghi della capitale. Io non trovo giusto tutto questo. Né possono rabbonirmi le ragioni di opportunità politica, che anzi non mi interessano affatto. So soltanto che la fede e il senso di umanità non possono contrappormi ai miei fratelli, al cui servizio sono stato posto. Se lei non è con loro, posso solo dirle che rimango sconcertato e nella confusione.

Don Pietro Pappagallo, definito da Renato Brucoli, un “contemplattivo”, e che dichiarò di non essere interessato affatto alle ragioni di “opportunità politica”, verrà rimosso dal suo incarico. Gli verrà imposto di lasciare Roma o di occuparsi dell’assistenza degli emigranti italiani all’estero ma pur di non lasciare la capitale Don Pietro sceglierà la seconda strada.

Così come si schiera al fianco delle maestranze della Viscosa contro la curia romana e la direzione dello stabilimento, così dopo l’8 settembre 1943 si schiera al fianco degli antifascisti, dei perseguitati politici e degli ebrei contro la barbarie nazifascista collaborando alla lotta clandestina ospitando i perseguitati nella sua casa di via Urbana 2 e stampando per loro documenti falsi presso la tipografia di un cugino.

Il 29 Gennaio 1944, tradito da Gino Crescentini, una spia che finge di essere un fuggiasco, Don Pietro Pappagallo viene arrestato e condotto al carcere di via Tasso. Soprannominato il corvo, sottoposto a tortura e ad ogni sorta di umiliazione dai soldati tedeschi, trascorre i suoi ultimi mesi di vita nella cella numero 13, dove incontra anche un ex operaio della Viscosa, Tigrino Sabatini partigiano di Bandiera Rossa arrestato una settimana prima di lui. La mattina del 24 marzo, in seguito all’attentato partigiano di via Rasella, Don Pietro Pappagallo e altre 334 persone vengono condotte nelle cave della via Ardeatina e barbaramente trucidate.

L’anno scorso in occasione del 75esimo anniversario dell’arresto di Don Pappagallo, insieme all’A.N.P.I. sezione Don Pietro Pappagallo Esquilino Monti Celio, all’A.N.P.I. sezione Don P. Pappagallo Prof. G. Gesmundo e una delegazione della scuola primaria Don Pappagallo di Terlizzi, abbiamo affisso nel Parco delle Energie, dove sorgeva il convitto della Viscosa, una targa alla memoria di Don Pietro Pappagallo. Con la speranza che il suo ideale di libertà possa continuare ad essere un esempio di accoglienza e uno spunto per reagire all’indifferenza nei confronti di chi ancora oggi è perseguitato.